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al testo di cristina bizzarri
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Di tutte le creature ha dita più infinite - e invisibili carezze. Ti volti e già scompare nel flusso di marea, ma poi zampilla in curva acuta verso l’alto, sul dorso della rondine che plana, poi discende in cerchi e primavere di ritorni.
Su tutti i volti degli uomini distende un velo trasparente che bisbiglia lo stesso insegnamento: non pena che non trovi suo riscatto in dura carestia delle formiche insonni, o in umiltà dorata delle api all’ordine del miele, o nell’astruso volgersi al suo dio dell’ippopotamo - il fango.
In me, in te, compagni nello scarto che è ferita di illusorio solco tra zolla e zolla, impasto della terra fermentata nel ciclo del letame. Ne spruzzano verdura i suoi germogli celebrati in rituali feste intestinali, sorgenti oscure rovesciate infine a riveder le stelle.
Non razza né soi-disant divina stirpe elegge, equivalente partitura la sua, di note sì diverse ma diffuse su infiniti tasti ripetutamente.
Da acque oscure senza riflettere le stelle, risale Proteo alato, o quando crede cervo bianco, sua dimora il firmamento.
Di lì si tuffa in basso, ammanta il mondo e penetra i suoi anfratti cupi di terrore, paradisi di marciume e fogne.
La veste mai macchiata sua eucaristia, per rimanere ombra testimone sentinella nell’arco che separa le due porte - una congiunge all’altra senza mai trovare oriente, forse per questo Angelo perduto - ormai per noi caduto, eternamente Vento.
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